Come in molti campionati nazionali a dominare la scena del CIR spesso sono stati i piloti con una esperienza più solida, fattore che sposta l’ago della bilancia più in là negli anni, ma la vittoria di Andrea Crugnola riporta i rally tricolore a degli standard più consoni a quel range dai trenta ai quaranta dove i piloti possono dare il meglio.
Trentuno anni, alla terza stagione consecutiva nella massima serie il Varesino è riuscito a conquistare la sua prima palma tricolore, dopo avere vinto due titoli CIRA nel 2018 e 2019, un successo che riporta il campionato italiano fuori dalla classe degli “anta” che dal 2009 ha letteralmente monopolizzato il CIR, fatta eccezione per la parentesi 2013 che vide imporsi l’allora ventinovenne Umberto Scandola. Umbi è rimasto tra i protagonisti della massima serie Italica ma non è più riuscito a ripetersi, tante zampate soprattutto sulla terra, ma sempre ad un soffio dalla conferma di quella corona vinta alla sua seconda stagione al volante della Fabia Super 2000. Anni in cui un giovanissimo Crugnola si barcamenava tra un’monomarca e l’altro, con tempi monstre che erano dei lampi di classe purissima. Ed è riuscito a fare suoi i trofei Suzuki, Citroen e Renault e con la vettura della Regie ha fatto saltare il banco dell’allora Italiano Junior. Nel frattempo ha cercato tutte le strade possibili fuori dai confini italici, prima con la WRC Academy, poi nell’ERC Junior, ed alla fine con tre stagioni mondiali WRC3, JWRC e WRC2. Un periodo dove ha ottenuto anche risultati di spessore come una vittoria in Germania nel WRC3, ed una secondo posto nel campionato ERC Junior. Abbastanza per farsi notare, ma con una coperta budgettaria sempre molto corta non è riuscito a spaccare come avrebbe voluto. A ventinove anni ha così definitivamente abbandonato gli ultimi sogni internazionali, nel giro di un paio di stagioni non esplosive (vincolate sempre da budget ristretti), ma molto concrete è riuscito a guadagnarsi lo status di ufficiale (o fac-simile). Con la Citroen C3 è riuscito a conquistare la corona tricolore, ad un’età perfetta per uno sport come i rally che coniuga velocità e maturazione agonistica, contrariamente alla nuova generazione dei baby driver, che vince già a vent’anni, ma di stagioni alle spalle ne ha già sei come Bulacia. Il 2020 è stato un anno anomalo per numero di gare e chilometraggi, analizzando però la sua stagione questo è stato un plus valore, visto che ha saputo cambiare l’approccio alle singole gare, mettendo in carniere due successi assoluti, ed il pieno di punti nella mezza tappa di Roma. Un lungo inseguimento dove si è battuto alla pari con gli stranieri come Bulacia, Huttunen o Lukyanuk; anzi.. .