Il ciclone Silk Way Rally con il blocco della carovana alla frontiera con la Mongolia, che taglia via la parte più importante del percorso con il temuto attraversamento del deserto dei Gobi, ha sollevato una bufera che ha portato molti dei partecipanti a ritirarsi, con uno strascico di polemiche senza precedenti.
La coppa FIA cross country rally, che dal prossimo anno si ergerà allo status di campionato del mondo sotto l’egida di ASO, sembra destinata a partire sotto i nuvoloni neri della pandemia che con le sue ondate continua a minare il regolare svolgimento di gare, che sino al 2019 avevano negli attraversamenti frontalieri uno dei suoi plus valori. Quello che è successo al Silk Way però lascia molto perplessi, una gara di una decina di giorni che dopo la prima giornata di gara, a due giorni dall’ingresso in Mongolia deve rivedere l’ottanta per cento del suo percorso perché rimbalzata alla frontiera mongola. Un’impennata dei casi covid, con una spolverata di peste bubbonica che oggi in Mongolia comincia a preoccupare è alla base di questa decisione, le frasi di rito del caso; in primis “sulla salute non si transige”, né tantomeno le opere di bene l’aiuto alle popolazioni locali sono bastate ad evitare che molte squadre andassero su tutte le furie. È abbastanza difficile credere che si prenda una tale decisione alla fine della prima tappa, perché la situazione è precipitata in poche ore, ed altrettanta perplessità solleva la forzatura di farla passare per una decisione organizzativa. È evidente che alla frontiera con la Mongolia la carovana sarebbe stata rimbalzata, considerato che il cross country è una disciplina in grado di vivere in un’autentica bolla, quindi sicurezza e salute sarebbero state salvaguardati per tutti con relativa facilità. Con una serie di correttivi relativamente facili da apportare, cominciando dallo spostamento delle sedi di tappa dalle relative città. Chi conosce le dinamiche dei paesi asiatici e delle repubbliche ex. URSS (asiatiche) sa quanto siano delicati gli equilibri frontalieri, non a caso un’organizzazione ricca e politicamente potente come ASO alla Dakar ha rinunciato ad ogni sconfinamento fuori dell’Arabia Saudita. Quindi è evidente che qualcuno sapeva come sarebbe andata, ed il fatto di ripercorrere ritroso le prime tre tappe non è un piano di emergenza degno di una gara come la Silk Way. Una decisione che con le regole sui chilometri non disputati avrebbe ridotto ai minimi termini il punteggio della gara. Ed è questo l’aspetto che ha fatto infuriare molte delle squadre presenti, che hanno preferito abbandonare una gara che aveva perso tutti i suoi perché. Le richieste di risarcimento anche se difficilmente saranno accolte fanno parte in qualche maniera di un così brutto episodio, dove però qualcuno sapeva come sarebbe finita.