I primi di luglio è passato un anno esatto dalla ripartenza dei rally, 11 mesi con poche gare tutte a porte chiuse, tante le proteste degli appassionati, ma dalla parte di chi autorizza le gare si è applicata tutta la tolleranza del caso, ma oggi che gli eventi sportivi hanno riaperto le porte al pubblico, nei rally nessuno sembra disposto a farsi carico delle responsabilità connesse agli spettatori.
Lo stop alla presenza del pubblico nelle manifestazioni sportive è stato superato solamente a fine maggio, ovviamente con l’adesione a protocolli minimi di sicurezza e di contingentamento. Per quanto riguarda i rally e le manifestazioni che si tengono su strade pubbliche (o comunque fuori da uno stadio oppure un autodromo) è stata data la prescrizione di individuare delle zone riservate al pubblico. Abbastanza per ripartire, ed aggiungeremmo alla stragrande visto che i rally offrono spazi importanti dove il contingentamento non è un problema, se non in rare eccezioni. Eppure, dopo il Sardegna, che le zone pubblico le ha indicate è stato un fuggi, fuggi, tutti gli addetti ai lavori, organizzatori in testa, a nascondersi dietro a un dito, oppure a quello che capita, un siparietto alla “Sturmtruppen al corso di mimetizzazione”. Di colpo ci si è accorti, che chi organizza un evento è responsabile del pubblico e questo comporta: controlli all’ingresso delle zone, disinfettanti, sistemi per rilevare la temperatura e del personale per vigilare sul distanziamento. Quello che semplicemente è richiesto in uno stadio, nei supermercati, oppure in strutture simil autodromo, ed in Italia e molti altri paesi europei nel torneo di calcio continentale il contingentamento all’interno degli stadi si è visto (ad eccezione di Inghilterra e Russia). Così si è preferito andare avanti alla maniera vecchia, nessuna zona per il pubblico, contando che chi preposto a controllare continui sulla linea della tolleranza. Una scelta che lascia quantomeno perplessi perché se in molti continuano a voltarsi dall’altra parte c’è chi un minimo lo pretende e volenti o nolenti “gara a porte chiuse” non significa solamente limitarsi ad appelli pubblici. Comporta un servizio d’ordine, lo stesso che a grandi linee serve per controllare delle aree predisposte, se non di più. Una pantomima in attesa le cose tornino miracolosamente come prima, dove tutti fanno finta di niente, una situazione imbarazzante per chi organizza, ma anche per quegli spettatori che un po’ sono tollerati, ed altre sono braccati. Una gestione che se vogliamo è esattamente quella di una volta, questo vale per le gare dove il pubblico non è pagante, ma ancora più paradossalmente la dove per tradizione si è sempre pagato un biglietto. Fare pagare un ticket non significa solamente incassare dei soldi e su questi pagare le tasse, ma implica fornire dei servizi, compreso un controllo sul pubblico stesso. Non condivisibile ma comprensibile l’immobilismo federale, un qualsiasi protocollo che superi un vaglio governativo, implicherebbe maggiori costi che nessuno vuole pagare. Ma a questo punto servirebbe una presa di coscienza generale se si vuole ancora avere pubblico sulle speciali, oppure solamente spettatori virtuali.