In questi ultimi venti anni la sicurezza è diventato l’imperativo dei rally, e del WRC in particolare, da quella attiva e passiva sulla vettura rivolta all’equipaggio, a quella del pubblico sino ai comportamenti finiti sul banco degli imputati perché diseducativi. E poi ci sono le pagine eroiche di piloti che in trasferimento riparano la vettura su un cric traballante.. .
Sulle auto assieme alla tecnologia legata alla prestazione, anche quella legata alla sicurezza ha fatto passi da gigante e le prove sono sotto gli occhi di tutti. Quando però si parla di sicurezza i primi a finire sul banco degli imputati sono sempre gli spettatori; i rally sono passati dalle esagerazioni degli anni 80 ad una vera e propria caccia al pubblico, che ciclicamente si ripropone appena la fauna torna a ripopolarsi. Ma in un mondo dove lo sport è diventato una sorta di esempio sono state immolate sull’altare della modernità anche quelli che qualcuno ha eletto come comportamenti diseducativi. A cominciare dai tondi quando si porta la vettura in parco chiuso, auto che si trascinavano sino al service su tre ruote, e molti altri comportamenti che sono stati banditi in questi anni. Altre azioni invece sono salite sugli altari creando un alone di fascino eroico, in particolare quando i piloti sono costretti ad avventurarsi in riparazioni di fortuna con i mezzi di bordo. L’ultima puntata del rally degli eroi l’ha scritta Loeb in Grecia, ma proprio dalle immagini del dramma di Seb emergono molte contraddizioni della nuova filosofia dei rally moderni, a cominciare dai labili confini di percezione della sicurezza. Come quello di lavorare con l’auto alzata su un cric, che per ben posizionato è sempre traballante, ed ovviamente utilizzare la ruota di scorta, oppure quella appena smontata, come sicurezza sotto la vettura nel caso dovesse venire giù. Una sfilza di punti interrogativi lunga un chilometro. L’uso del cric dovrebbe essere limitato alla sostituzione di una gomma, per il resto senza un adeguata sicurezza come i cavalletti, anche i cric sollevatori delle assistenze non sono fatti per lavorare sulla macchina. Obbiettivamente con un sotto casco indossato male, oppure un casco non correttamente allacciato le possibilità di subirne dei danni sono infinitesimali, mentre nel caso non così remoto la vettura caschi dal cric, una bella botta in testa, schiacciarsi le dita, oppure una mano o un piede non è poi un rischio così remoto. Forse sarebbe davvero il caso di rivedere certe convinzioni assolutamente soggettive. Con le macchine che partono a tre minuti una dall’altra dare dieci minuti di service, anche solo per invertire le gomme, richiederebbe uno spazio minimo (visto che sosterebbero al massimo dalle quattro alle cinque vetture), ma almeno si darebbe un senso anche alla presenza di una squadra di meccanici che nella tappa del venerdì ha lavorato solamente un’oretta la sera. Ma soprattutto permetterebbe di lavorare in sicurezza, e permetterebbe ai piloti di fare il loro lavoro, ovvero guidare al meglio, e non entrare con il fiatone in speciale perché stava per cominciare a piovere ed hanno dovuto invertire le gomme in fretta e furia.