Il caso Mabellini, obbligato a saltare il Barum last minute per mancanza di budget non è sicuramente una novità in Italia e neppure all’estero, anzi tra gli Euro programmi sono davvero tanti, anzi troppi a doversi fermare per mancanza di coperture, ma nel caso del Mabe spiace moltissimo visto si tratta di un pilota giovane che ha bisogno di crescere.
Provarci lo ha fatto con tutte le sue forze, come testimonia la sua presenza nell’elenco iscritti di Zlin fino a qualche giorno fa, ma alla fine anche lui ha dovuto issare bandiera bianca. Nei primi sei round di risultati pesanti non ne ha portati a casa, ma nella sua prima stagione ERC al volante di una rally2, è riuscito ad ottenere delle prestazioni di tutto rispetto sulla terra e sull’asfalto. Anche se nel conto dei punti campionato con il suo compagno di squadra Llarena piange, prestazionalmente è riuscito a stargli davanti in tantissime occasioni dimostrando un potenziale notevole. Sei gare in costante crescendo, qualche sbavatura ma senza mai commettere errori particolarmente vistosi, dimostrazione di una buona gestione del proprio passo gara, nonostante la giovane età. Se dal punto di vista dei risultati questa pausa non cambia molto, interrompere questa ascesa è un vero peccato, e soprattutto mette in evidenza uno dei problemi dei rally made in Italy. La mancanza di un’imprenditoria legata direttamente oppure indirettamente al mondo dei rally disposta a spendere e capace di fare immagine tramite le corse. In Italia quando si parla di giovani tutti puntano il dito su quanto non ha fatto la federazione, ed il paragone cade sempre sulla vicina Francia, senza però conoscere a fondo la realtà transalpina. Imbattibile nel mettere a disposizione quanto di formativo può servire ad un pilota, ma con rari e comunque minimi interventi sui budget, generalmente inferiori a quelli nostrani. Il sistema Francese però funziona a 360° e riesce a coinvolgere molte realtà del motorsport d’oltralpe, territorialità e anche aziende disposte ad investire nelle corse su strada. Un qualcosa non così distante dai management Scandinavi vedi la Buag di Timo Jouhki, capace di moltiplicare i budget, ma dove non si approda a tasche vuote. In Italia ognuno fa per se, ed il caso del Mabe non è così distante da quello di altre giovani speranze, che faticano a mettere assieme i budget e qualche volta come il bresciano si trovano a metà del guado nell’impossibilità di andare avanti. Puntare il dito solamente da una parte è comodo ed aiuta ad evitare di guardare in faccia la realtà, quella di un sistema Italia incapace di fare squadra a tutti i livelli.