La polvere dell’Adriatico ha risollevato il problema degli ordini di squadra nei rally, o se vogliamo in generale nell’automobilismo, un tema che ha sempre diviso il mondo degli appassionati. Una prassi consolidata negli anni 70/80/90, ma con il tempo molte delle basi per imporre i team oreder sono venute meno.
Gli ordini di squadra sono un argomento che ciclicamente ritorna a fare discutere, dividendo il mondo degli appassionati in due fazioni pro e contro. In realtà definire una parte pro è sbagliato, diciamo fatalista nata quando i titoli marche avevano ben altro peso ed i “team order” erano all’ordine del giorno. Nell’epoca Lancia spesso furono utilizzati sia nel mondiale che nella rincorsa al tricolore, per cui si è creato una sorta di pensiero comune che associa questi al bel paese. Anche se in realtà allora ne abusavano tutti a cominciare dagli squadroni tedeschi. Negli anni con la maggiore importanza assunta dal titolo piloti, anche la storia di questi diktat si è evoluta, ed anche se a darli è sempre stata la squadra in realtà spesso sono stati richiesti dagli stessi piloti (le prime guide). In molti casi sono stati argomento di polemiche e fratture insanabili, ed in alcuni casi hanno fatto saltare anche teste importanti. Dal punto di vista squisitamente matematico siamo al limite dell’insindacabile, ogni punto è prezioso sopratutto quando i campionati sono molto equilibrati. Ma con il tempo le cose cambiano, anche le regole dello sport e per stare al passo volenti o nolenti bisogna sapersi adeguare (anche se per mentalità i rally le novità li digeriscono a fatica). In un ottica del vero spirito sportivo e della maggiore individualizzazione degli sport motoristici, forse sarebbe il caso che tutti si adeguassero ai tempi, lasciando da parte un interesse personale per quello dell’immagine che si trasmette. Un concetto che nel WRC in questi anni ha fatto breccia, consolidandosi grazie sopratutto a Vw e Jost Capito, che non ha mai messo il becco tra i suoi piloti in queste faccende.