Oramai da qualche tempo a scaldare il mondo dei rally made in italy sono i chilometri perduti, ma fa speciale che ai confini occidentali dello stivale ci sono gare come Antibes e il Vallese con chilometraggi da Europeo, che solamente una decina di anni erano fa frequentatissime dai piloti di casa Italia, oggi completamente assenti.
Con la nuova stagione alle porte inevitabilmente la lingua torna a battere dove il dente duole, ed uno degli argomenti più controversi continua ad essere il chilometraggio delle gare. Da una parte risulta comprensibile la posizione dei fans più nostalgici, ma dall’altra lascia perplessi quella di un movimento di praticanti che sembra avere una doppia personalità divisa tra quella del vorrei e quella del posso. Ovvero della realtà, quella che si riflette negli elenchi iscritti. A pochi chilometri dal confine con la Francia, ed ancora meno con la Svizzera in autunno si sono disputati il Rallye d’Antibes, oltre duecentosedici chilometri di speciali, mentre il rallye du Valais ne proponeva cento ottantanove. Una ghiotta opportunità per chi vuole mettersi in gioco senza grandi velleità, ma per il gusto ed il puro piacere di correre, quello che anima almeno il 70-80 % dei partecipanti ad una gara. Un’occasione che però nessuno ha colto, e pensare che solamente una decina di anni addietro, a raccogliere la sfida erano sempre in parecchi. Soprattutto nella classica della Costa Azzurra gli equipaggi al via erano almeno una decina ad ogni edizione, un numero che negli ultimi anni si è praticamente azzerato. Vuoi perché qualcuno tra i gentlemen e gli amatori che affrontava le sfide oltre confine hanno appeso il casco al chiodo, vuoi perché oggi dalle rally2 alle omologazioni scadute si va di noleggio, ed alla fine si finisce sempre a fare il conto con i chilometri. Un segno dei tempi che cambiano e bisogna leggere, ed interpretare, per riuscire a trovare i giusti equilibri o le giuste risposte per apportare dei correttivi. Una ricetta che non può limitarsi semplicemente ad iniettare chilometri, ritornando ad avere delle gare lunghe ma con pochi iscritti. Il primo passo però deve essere forzatamente quello di accettare la diversità, imponendo dei format con dei minimi ma più aperti nel format e sui massimali.