Il campione del CIRT Andrea Dalmazzini si confida in esclusiva con Area Corse, ripercorrendo una stagione trionfale e svelando le incertezze del futuro.
E chi l’avrebbe mai detto. Chi l’avrebbe detto, nell’agosto di cinque anni fa, che quel ragazzino nascondesse dietro un’aria quasi annoiata le stimmate del campione? Certo, che con volante e pedali ci sapesse fare, l’aveva dimostrato già in quel pomeriggio, intento a scoprire il percorso di una gara che non avrebbe mai disputato (l’esordio avrebbe dovuto avvenire nella Ronde Città del Vulcanetto, che venne annullata poche ore dopo). Ma, diciamocelo onestamente, ci sarebbe voluta una discreta dose di fantasia per immaginare che, un lustro più tardi, Andrea Dalmazzini si sarebbe trovato a festeggiare il secondo titolo di campione italiano dopo appena quattro anni d’attività. E se il tricolore Cross Country conquistato al primo assalto nel 2014 lo ha fatto emergere come una splendida promessa, quello conquistato poche settimane fa nella prima edizione dell’Italiano Terra – frutto di una maturazione impressionante – proietta definitivamente il talento di Pavullo tra le più brillanti certezze del rallysmo nazionale.
Riavvolgiamo il nastro dei ricordi e andiamo ad inizio aprile, vigilia del CIRT: con quali aspettative stavi approcciando un campionato poi finito in gloria?
“L’obiettivo era vincerlo. William Marti, uno dei titolari della G.B. Motors, è stato perentorio quando ci siamo trovati a pianificare la stagione: ‘partiamo per provare a vincerlo’, mi ha detto. Ha avuto ragione…”.
Cosa vi faceva essere così convinti di avere le carte in regola per arrivare allo scudetto?
“Sapevamo di disporre di una macchina buonissima. Inoltre, venendo da due anni nel Trofeo Terra, conoscevamo la realtà e pensavamo di avere le potenzialità per farcela. Ma sapevamo che sarebbe stata durissima, perché la concorrenza si è rivelata – come previsto – molto competitiva. Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra, dando davvero il meglio sotto ogni aspetto”.
Il titolo, infatti, è arrivato solo sotto la bandiera a scacchi del Val d’Orcia. Anche se sei arrivato all’ultimo round con un margine tale da permetterti di essere il padrone del tuo destino. Quando hai capito di avercela fatta?
“Solo alla fine dell’ultima prova, non prima: lì ho tirato un bel sospiro di sollievo. A Radicofani, del resto, non è stata una passeggiata: è sempre difficile quando devi tenere un buon passo ma senza tirare, per evitare di fare danni”.
Così, al tricolore Cross Country 2014 hai aggiunto quello del CIRT.
“Una sensazione stupenda, dettata dalla consapevolezza di aver realizzato un’impresa. E, soprattutto, di aver raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissato quando, ad inizio 2015, passai dal Cross Country ai rally. Condivido questa grande gioia con G.B. Motors e con la mia scuderia, X-Race Sport; con i miei navigatori, a partire da Giacomo Ciucci, anche loro importantissimi non solo in termini di risultati, ma anche nella mia crescita; con Pirelli e Matteo Romano, per averci seguito ed aiutato con assiduità; con il mio sponsor Autofacile, che mi appoggia da sempre; e poi, ma certamente non ultima, con la mia famiglia, la quale mi ha permesso di arrivare sino a qui, seguendomi e supportandomi sin dall’inizio, sotto ogni profilo”.
C’era un avversario che temevi di più, ad inizio stagione? E chi ti ha impensierito maggiormente, nella lotta al titolo?
“La mia percezione, in apertura di campionato, è che fossimo in tanti su un livello simile: potevamo essere anche in dieci a giocarcela… Poi la storia del campionato ha fatto sì che ci sia stato magari un protagonista diverso per ogni singola gara, ma per il titolo siamo rimasti in tre. Tra Costenaro e Ceccoli non c’è stato uno che abbia visto come più o meno forte, anche se Giacomo, forse, mi ha tenuto sul filo più nella prima parte della stagione e Daniele nella fase finale”.
A differenza dei due rivali con i quali ti sei battuto sino all’ultimo per lo scudetto, tu non hai subìto ritiri e sei sempre andato a punti. Oltre a questo aspetto decisamente importante, secondo te, qual è stata la gara che ha dato la svolta a tuo favore?
“Ne cito due: San Marino e Nido dell’Aquila. All’ombra del Titano è arrivato un secondo posto pesantissimo in termini di punti: qui il merito è tutto di Giacobazzi e Marti, i titolari della G.B. Motors, che mi hanno convinto a proseguire dopo che, ad inizio gara, avevo accusato problemi che mi avevano attardato molto. Il rally umbro, invece, lo cito perché ho conquistato la mia prima vittoria assoluta in un rally, disputando la mia miglior gara stagionale. Oltre che alla classifica, insomma, ha fatto bene all’orgoglio…”.
Ritieni che la Fiesta fosse la macchina da battere, nel CIRT?
“Credo di sì, anche se non conosco direttamente le altre auto. A mio modo di vedere, ad inizio anno la Fiesta era la migliore del lotto, oggettivamente molto competitiva ed affidabile. Personalmente, l’ho trovata molto facile da guidare, sulla terra dà grande confidenza. Detto questo, nel corso del campionato è cresciuta molto la Fabia, che ora vedo al livello dell’auto di casa Ford. Forse, l’anno prossimo, la Skoda potrebbe diventare la vettura di riferimento”.
Quindi, immaginando che l’anno prossimo ti ripresenti al via del CIRT, con quale vettura vorresti correre?
“Rimarrei senz’altro sulla Fiesta. E sempre con G.B. Motors, nei confronti della quale ho la massima fiducia”.
Ecco, visto che l’hai chiamato in causa, parliamo un attimo del tuo team.
“Un gruppo super professionale in un clima familiare come difficilmente ne trovi in giro: questa è, per me G.B. Motors. Bravissimi nella preparazione e gestione tecnica della vettura, molto esperti, sempre pronti a darti il consiglio giusto (vedi San Marino), sotto ogni profilo. Curano ogni dettaglio, permettendo all’equipaggio di potersi concentrare nel proprio lavoro e di farlo al meglio”.
Un voto al tuo 2017?
“Dieci! E’ stata una stagione molto bella, sotto tutti i punti di vista”.
Quest’anno eri solo al tuo terzo anno da rallysta: dove pensi di avere mosso i maggiori passi in avanti, come pilota?
“Direi sotto ogni aspetto, come pilota. Sono stato molto in macchina, abbiamo fatto due test importanti prima del campionato. Credo di essere migliorato sotto ogni aspetto, nella guida, senza dimenticare la stesura delle note – ambito sul quale mi hanno aiutato molto i navigatori che mi hanno affiancato: Giacomo Ciucci, con il quale ho corso tutte le gare tranne due, nelle quali ho avuto gli amici Andrea Albertini e Lara Giusti -, l’approccio tattico alle gare ed al campionato e, infine, la miglior conoscenza e gestione della vettura”.
Per contro, sotto quali aspetti senti di dover migliorare in particolare?
“Sul veloce credo di essere ancora un po’ inferiore, mentre sul lento mi pare di essere più competitivo: probabilmente, mi tiro dietro uno stile di guida sviluppato nel Cross Country, dove non ci sono grandi tratti veloci. Comunque, quest’anno penso di essermela cavata in ogni condizione: l’Adriatico è veloce e siamo andati bene mentre, per contro, al Nido dell’Aquila, che è più guidato, c’erano i presupposti per fare bene e, infatti, abbiamo centrato il successo”.
A ventiquattr’anni ha già due titoli italiani in carniere, cosa non certo frequente. Entrambi sulla terra: non ti stimola l’idea di metterti alla prova sull’asfalto e diventare un pilota competitivo anche su questo fondo?
“Non amo l’asfalto mentre, per contro, sulla terra mi sento decisamente a mio agio. E’ vero che i rally sono anche su asfalto, ma devo ammettere di non essere attratto da questa sfida”.
Questo significa che il salto nel CIR non è nei tuoi piani?
“Esatto: non ci sto pensando. Non mi piace l’idea che il campionato di riferimento abbia così poca terra. Non escludo di poter fare qualche gara, ma niente di più”.
In soldoni, allora, quali sono i tuoi obiettivi per il 2018?
“Dipende tutto dal budget, come sempre. Può essere che, alla fine, torni nel CIRT per difendere il titolo, e potrebbe essere anche stimolante. Ma stiamo pensando ad un programma di alcuni rally all’estero, su terra, all’estero. Forse è l’opzione più interessante ma, al momento, è tutto avvolto nella più totale incertezza”.
Sei il campione dell’Italiano Terra, ma hai corso a lungo anche nel Raceday: due campionati su terra, in Italia, non sono troppi?
“Per ora, direi di no: mi pare convivano benissimo. Anche perché sono entrambi molto ben organizzati: il Raceday è una serie stupenda, alla quale sono molto legato”.
Fosse per te, cosa faresti per rendere più attrattivo il CIRT?
“Secondo me, hanno già fatto un ottimo lavoro, a partire dalla denominazione, che gli ha conferito maggior interesse. Quest’anno, a mio parere è stato il più competitivo in Italia, con tantissimi piloti al via, molto forti. Nelle ultime gare, poi, c’erano tantissime vetture di classe R5, cosa che non capita altrove. L’unico aspetto sul quale si può migliorare trovo siano i coefficienti: quest’anno, era essenziale fare bene all’Adriatico e al San Marino, mentre una vittoria al Nido dell’Aquila, al Liburna o al Val d’Orcia valeva quanto un piazzamento nelle due gare principali. Penso che tutte le gare dovrebbero avere lo stesso coefficiente e, quindi, avere lo stesso peso nell’economia del campionato”.
Chiudiamo con flash extra rally: chi è Andrea Dalmazzini quando non ha il casco in testa?
“Ho un carattere tranquillo, mite ma non taciturno. Di professione vendo auto, nell’autosalone di famiglia. E ho una sconfinata passione per le auto, di ogni tipo. Faccio anche gare di regolarità con auto storiche e adoro, in particolare, guidare una Jaguar E-type del ‘63”.