In Italia e non solo in questo periodo di transizione con al vaglio le nuove linee guida per riprendere le attività sportive sarà importantissimo dare le giuste risposte sull’argomento pubblico, certamente all’inizio occorrerà una particolare attenzione ma non per questo bisognerà riaprire quella caccia allo spettatore di fine millennio che ci è costata carissima.
Gli eccessi del pubblico a bordo strada negli anni ottanta, ed inizio novanta avevano fatto scattare un campagna di sicurezza sulle strade dei rally che ha prodotto danni irreparabili, forse più di quelli della torcida a bordo strada a cui si assisteva in certe gare. A lanciare il primo guanto della sfida di allora fu la FIA con in testa il presidentissimo Mosley, seguito in maniera altrettanto repressiva dalle ASN di molti paesi, pronte a mettersi in mostra con misure sempre più repressive. L’apice di questa campagna di demonizzazione arrivò a rasentare la farsa quando in una delle tante conferenze stampa il presidente presentò l’idea delirante di un Neo Zelandese, “lo spettatore virtuale”. Il servizio di WRC Live allora era utopia, non si andava oltre ad highlights serali, oppure a una o due stage in diretta, quindi era difficile da capire se uno doveva restare a casa e vedere il niente, oppure se sulle speciali si dovevano proiettare immagini virtuali di spettatori. Ma sarcasmo a parte, da questo momento inizio una guerra senza quartiere agli spettatori, con campagne sempre più lontane dalla sensibilizzazione e più vicine all’intimidazione. Strade e accessi bloccati con chilometri di anticipo, fine prova spostati sempre più lontano, preferibilmente a 4 o 5 chilometri da dove veniva bloccato il traffico. Oltre al non si cammina in strada, nemmeno quando mancava un ora o più al passaggio dei concorrenti, proponendo sentieri impossibili oppure attraversamenti di campi (con danni alle colture connessi). Le gare a pagamento (ad eccezione del rally GB) sono state le uniche a cercare una certa mediazione, cercando di lavorare su postazioni più sicure, ma il tutto in un’ottica di attenzione a quelle persone che erano clienti, ma soprattutto parte di un grande evento. Nel sud dell’Europa in particolare il pubblico è stato considerato per anni un fastidio, così nel giro di una decina di anni i numeri sono dimezzati in maniera esponenziale. A quel punto con un impatto sempre più ridotto sulla territorialità è diventato difficile mantenere in piedi il concetto di Evento. In questi ultimi dieci anni almeno la diaspora si è fermata, ma i numeri sono lontanissimi da quelli di una volta, le WRC+ hanno portato sulle strade più gente, almeno sulle speciali del mondiale, ma nulla a che fare con i numeri degli anni novanta. In questi giorni di stesura dei protocolli sanitari c’è da sperare che non si ritorni a ragionare in maniera puramente restrittiva, certo gli inizi richiederanno maggiore attenzione, ma altrettanta sensibilità bisognerà riservare nel monitorare come si muove il mondo al di fuori della nostra piccola nicchia. Perché la sopravvivenza della specialità non può essere delegata ai fautori del rigorismo, pronti a dimostrare che a chiudere siamo i più bravi, per poi scoprire tra un paio di anni che il poco che era rimasto si è dissolto e non resta più nulla.