In questo finale di stagione si è fatto un gran parlare di un campionato CIR con meno asfalto e più terra, richieste che hanno provocato una levata di scudi generale tra addetti ai lavori e fans, ma il nido dell’aquila ha riportato tutti con i piedi per terra.
La terra e lo spettacolo che è in grado di offrire è uno degli elementi più esaltanti dei rally per chi li vive a bordo strada ma anche per chi dentro l’abitacolo riesce a dare il meglio quando l’aderenza viene meno. L’idea di un campionato CIR con un’unica gara sterrata, anche se questa è il Sardegna (con il suo chilometraggio WRC) l’idea di tirare fuori il cartellino rosso per San Marino ed Adriatico è sicuramente eccessiva. Che una delle due debba fare un passo indietro ci può stare, ma tutte e due impoverirebbe molto il campionato. Dall’altro punto di vista come abbiamo già sottolineato pensare a un campionato 50 / 50 sarebbe improbabile, soprattutto se fatto nel nome di un mondiale dove la terra è prevalente, e secondo un’equazione un po’ troppo elementare più terra nel CIR vuole dire trasferire più giovani nel mondiale. In realtà è giusto che il campionato abbia la sua quota terra, ma le gare devono essere adeguate oltre a rispecchiare la realtà del movimento rallystico Italiano, che invece al momento conta una proporzionalità tra terra ed asfalto che se ribaltata nella massima serie a stento darebbe diritto ad una mezza rappresentanza. La levata di scudi inevitabilmente ha messo sulla graticola la Federazione rea di non fare abbastanza, certamente si può fare molto di più, ma se l’argomento non si affronta a 360° è difficile immaginare i cambiamenti, visto che da un’analisi veloce e superficiale si può attribuire ai federali un 25% delle colpe. Ma gli altri tre quarti se li possono spartire equamente preparatori (visto che oggi il 90% dei piloti corre a noleggio), piloti (bloccati dai budget ma anche dalla mancanza di volontà di misurarsi su fondi a scarsa aderenza) e dagli enti locali (con le casse sempre più vuote troppo spesso interpretano il ripristino strade in stile grandi appalti). Ed a farne le spese sono quasi sempre gli organizzatori, lasciati in balia di loro stessi, in un periodo di sponsor in calo verticale, con tante dichiarazioni di intenti (dei piloti) ma pochi iscritti, e una folla di fans affamata di terra ma che se gli si prospettasse l’idea di un tiket griderebbe alla morte della specialità. Questo week end il Nido dell’Aquila penultima prova del campionato CIRT, gara con una boucle di tre speciali da ripetere tre volte per un totale di 90 chilometri (una gara con il giusto equilibrio costi lunghezza), aveva un elenco iscritti con appena 23 vetture, ed al traguardo sono arrivati in 18. L’ondata a tutta terra made in Italy si è quindi infranta a poche settimane dal fervore che le parole di Scandola avevano suscitato, riportando tutti con i piedi per terra. Anche noi siamo per la terra e per quello che rappresenta per i rally, ma se vogliamo che ritorni a vivere prima di pensare a un campionato 50 / 50 bisogna che la sterzata la diamo tutti assieme e non solo aspettare lo facciano gli altri.