TERRA QUALE FUTURO

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La mancanza della terra nel prossimo campionato italiano ha suscitato meno reazioni e polemiche del previsto, da un certo punto di vista è stata accolta con rassegnazione, la speranza è che il campionato alla francese non rappresenti la parola fine per la terra nel nuovo CIAR, ma un punto di partenza per chi è disposto a scommettere su delle gare più ambiziose.

Per gli amanti dello sterrato il colpo è stato duro e non ancora del tutto metabolizzato, ma non poteva essere altrimenti. Preoccupa però il senso di rassegnazione che si respira, se da una parte è giustificato perché la forbice tra la terra e l’asfalto nella massima serie era arrivata ad un punto di divaricazione troppo ampio, dall’altro sino ad oggi nessuno ha accennato una reazione. Come se la ricetta trovata per la terra, con i format conosciuti in questi due anni di pandemia, non si trattasse di una risposta all’emergenza ma del logico punto di caduta. Che gli attuali chilometraggi siano quelli ideali per il CIRT lo dicono i numeri, perché sono riusciti a riportare in campo molti amanti delle strade bianche, assieme a qualche top driver che ha scelto la terra (vedi Andreucci, Scandola e Campedelli) per amore, ma anche per dei budget meno importanti. Ma se la terra ed i suoi organizzatori vogliono tornare nelle prossime stagioni a fare parte della massima serie, la reazione deve partire dalla loro voglia di tornare a fare delle gare con quel qualcosa in più e non solamente al ribasso. Un trend che oramai va avanti da ben prima dell’avvento della crisi sanitaria. La speranza è quella che qualcuno ritorni ad osare, nei chilometri ma forse ancora di più nei format che sulla terra contano quanto i chilometri di speciale. Come abbiamo già sottolineato per la massima serie troviamo giusto che la federazione imponga degli standard minimi, ma per quelli massimi è giusto tornare a dare più flessibilità e sulla terra la qualità della gara passa anche per un percorso in linea con meno ripetizioni. Un argomento che siamo sicuri Daniele Settimo potrebbe recepire, perché in questi anni al timone della commissione rally il CIRT ha continuato a crescere, ma come detto in precedenza al centro di questa nuova era ci deve essere chi organizza. Occorre il coraggio di osare, ma anche quello di rispettare chi ha voglia o la possibilità di fare qualcosa in più, evitando di unirsi tutti nel solito coro o tutti o nessuno. Un appiattimento verso il basso che in Italia ha cominciato a spadroneggiare e fa a pugni con la meritocrazia che tutti predicano.

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